venerdì 13 febbraio 2009

I Bombaroli del Nord Est e quelle strane bombe a Schio

Non esiste un solo Unabomber. Finalmente. Dopo 15 anni e 28 micro attentati l’autorità giudiziaria sostiene quanto andiamo scrivendo da anni. Secondo il Pubblico Ministero Federico Frezza di Trieste le esplosioni sono riconducibili a tre, quattro, o forse di più bombaroli. Il pm Frezza nel chiedere al gip del Tribunale di Trieste di archiviare l’inchiesta sull’ingegner Elvo Zornitta ha sostenuto che « L’obiettività non indica affatto un unico attentatore. Esistono invece sottogruppi di attentati nell’ambito dei quali è plausibile supporre che l’attentatore fosse unico» e ancora: «Ipotizzare un’unica mano dietro alcuni rudimentali tubi-bomba privi di nitroglicerina, abbandonati su una spiaggia o in una vigna e un vasetto di Nutella collocato in un supermercato due anni più tardi, è null’altro che un’opera di intuizione creativa, indimostrata e indimostrabile». Tramonta quindi definitivamente la pista del bombarolo seriale, del maniaco geniale e solitario che per anni ha tenuto banco. La richiesta di archiviazione individua negli attentati almeno tre fasi diverse riconducibili alla mano di più attentatori. Esaminando però il complesso dell’attività dei bombaroli del nord est sono possibili anche altre considerazioni.
E’ indubbio infatti che ci si trova difronte ad un caso senza precendi: uno stillicidio di quasi 30 attentati nel corso di 13 anni, dal 1994 al 2006, senza che gli autori abbiano lasciato la benchè minima traccia. Il che dimostra che i diversi autori degli attentati, tutti, assommerebbero in se una serie di capacità assolutamente non comuni. Elenchiamole.
Non è stata ritrovata una sola impronta digitale, la selezione dei materiali utilizzati è stata accurata tanto da rendere vano ogni accertamento merceologico. Nelle fasi di posizionamento nessun testimone e nessuna telecamera ha mai registrato alcunché di utile. La progettualità degli attentati e la confezione degli ordigni è stata definita, dal perito esplosivista Lucio Montagni, come il “punto di arrivo della carriera di un artificiere professionista addestrato e collaudato sul campo”. Non solo. I misteriosi bombaroli hanno dimostrato di padroneggiare l’elettronica e di avere una alta competenza chimica producendo nitroglicerina stabile in modo artigianale o ricavando esplosivo da del fertilizzante. Di saper prevedere le mosse degli investigatori e di conoscere tutte le possibili analisi di polizia scientifica, ivi comprese quelle sul DNA, rendendole vane. Tante, davvero troppe, competenze per essere condivise da un gruppo che, con queste caratteristiche, apparirebbe formato da elementi che hanno ricevuto il medesimo addestramento.
Certo potrebbe trattarsi della attività scoordina di emuli ed eredi di un “primo” bombarolo che ha iniziato nel 1994 questa serie di attentati. Ma se così fosse non si spiega per quale motivo periodicamente gli attentatori, all’unisono, decidano di scomparire per lunghi periodi. Per esempio tra il 1996 e il 2000 o tra il 2006, data dell’ultima azione della serie, ed oggi. Ma la vicenda del cosidetto “Unabomber” dimostra che i bombaroli del Nord Est hanno saputo amministrarsi anche dal punto di vista mediatico creando il “mito” di unabomber e ottenendo tutte le prime pagine di giornali e telegiornali nazionali con azioni in se minimali senza dover mai aumentare l’intesità, la frequenza e la violenza degli attentati. Un comportamento che esclude l’esistenza di competitività tra diversi emulatori. Insomma siamo difronte a una sorta di terrorismo a bassa intesità, una evoluzione di quello che è stato definito “terrorismo virtuale”, molto in voga dal 1990 al 1994.






FACCIAMO QUALCHE IPOTESI






Se quella che finalmente sta emergendo è l’esistenza di un gruppo organizzato di attentatori bisogna domandarsi chi siano, cosa li spinga ad agire e perché proprio qui. Facciamo qualche ipotesi. Una persona di Udine a lungo indagata, e poi archiviata, per gli attentati di Unabomber è stata identificata, attraverso una perizia fonica, come l’autore di alcune rivendicazioni di gravi attentati a nome della Falange Armata. Questa stessa persona ha poi ha “reso noto” di essere a conoscenza del fatto che “gli strateghi del terrorismo” avrebbero deciso di sostituire le tradizionali rivendicazioni telefoniche, una specialità della Falange Armata, con una “rivendicazione ambientale” la cui efficacia comunicazionale sarebbe stata testata proprio negli attentati di Unabomber. Una spiegazione che potrebbe rendere “leggibili”, a posteriori, quelle di precedenti attentati. Vediamo le caratteristiche di queste rivendicazioni friulane. Alle 12,40 del 27 maggio ’93, e cioè prima della comparsa degli “Unabomber del Nord Est”, il gruppo 17 novembre/Falange Armata rivendica con una telefonata la strage di Via dei Georgofili avvenuta a Firenze. Il telefonista utilizza il codice numerico di identificazione 763321 che è lo stesso creato per rivendicare la strage di Via D’amelio del 19 luglio 1992 a Palermo in cui sono stati uccisi il giudice Borsellino e la sua scorta. Il successivo 28 luglio una analoga telefonata all’Ansa di Bologna rivendica, all’1,46, gli attentati di Milano e Roma. Il codice di riconoscimento è sempre lo stesso, 763321. Gli attentati e le stragi del 1992 e 1993 sono stati certamente messi in atto dalla Mafia ma, mentre si cercano ancora i mandanti occulti di quella stagione sanguinaria, è stato accertato (nella sentenza del processo “Borsellino Ter.”) che la Mafia sapeva preventivamente che le “bombe” sarebbero state rivendicate dalla Falange Armata e che “altri avrebbero praticamente” contribuito alla realizzazione degli attentati. Un dettaglio affatto secondario se si considerano tre fatti importanti: 1) alla comparsa degli Unabomber del Nord Est corrisponde la fine delle telefonate della Falange Armata. 2) Uno degli storici indagati nell’inchiesta Unabomber è l’autore delle rivendicazioni delle stragi a nome della Falange. 3) Una delle più efferate azioni di Unabomber si svolge il 25 aprile del 2003 in località Fagarè in provincia di Treviso, nei pressi della Telcoma System s.r.l., la fabbrica produttrice del telecomando utilizzato per l’esecuzione della strage di Via d’Amelio del 19 luglio ‘92. Questi fatti diventano davvero interessanti in considerazione di altri elementi emersi da indagini sulla Falange Armata. E’ stato infatti accertato che la Falange Armata sarebbe una organizzazione di “terrorismo virtuale” annidata all’interno dei servizi segreti militatri. Alcuni degli agenti sospettati di aver svolto questa attività sono stati allontanati dal servizio. Alcuni di questi erano anche arruolati nella misteriosa sezione “K” del servizio che disponeva in Italia di 5 centri operativi tra cui il famoso Centro Scorpione di Trapani (oggetto dell’ultima inchiesta del giudice Falcone a Palermo) e il Centro Ariete di Udine (destinato ad occuparsi di terrorismo). Due centri che, dalle testimonianze dei responsabili Fornaro e Li Causi, risultano essere stati in contatto. Va detto che Li Causi, assassinato in Somalia nel novembre del 1993, addestratore di Gladio, ha avuto personalmente diversi legami in Friuli. All’inizio degli anni novanta risulta poi che altri uomini dei servizi sospettati di animare la Falange Armata abbiano frequentato varie località della regione tra cui un albergo di San Pietro al Natisone il cui proprietario è morto nel 1992 in un singolare incidente stradale. Insomma vi sono molti elementi per pensare che il fenomeno “Unabomber” sia da iscrivere nel novero dei “misteri d’Italia”. Una convinzione rafforzata dal fatto che Ezio Zernar, il poliziotto di Venezia che continua a protestarsi innocente e che è accusato di essere l’autore della manomissione del famoso lamierino che ha portato alla archiviazione delle accuse mosse all’Ingegner Zornitta, è stato uno dei periti della strage di Via D’amelio.


QUELLE STRANE BOMBE A SCHIO


C’è qualcuno che scandisce a suon di esplosioni i punti di svolta delle più recenti fasi dell’inchiesta Unabomber. Certo le sue “bombette” non sono del tipo sinora più frequentemente utilizzato dai bombaroli del Nord Est. Un fatto che potrebbe far escludere a priori ogni ipotesi di collegamento se, allo stato delle consapevolezze degli inquirenti, non si fosse arrivati a interpretare i circa 30 attentati che sono stati messi in atto dal 1994 in poi, come opera non di un singolo maniaco, ma di un gruppo o comunque di più persone diverse. Una ipotesi esplicitamente indicata come la più probabile dal Pubblico Ministero Federico Frezza della DDA di Trieste nella richiesta di archiviazione della posizione dell’ultimo indagato, in ordine di tempo, Elvo Zornitta. Ma andiamo con ordine.

Nel mese di Gennaio del 2007, chi scrive, intervista uno degli storici ex-indagati friulani nel caso Unabomber, lo stesso “telefonista” della “Falange Armata gruppo 17 novembre” che ha rivendicato alcune delle stragi mafiose del 1993 (ne abbiamo riferito la settimana scorsa). Durante l’intervista il discorso scivola sull’uso della nitroglicerina in alcuni degli attentati più recenti. Parlando di nitroglicerina l’ex indagato/telefonista ad un certo punto ha sostenuto che questa sarebbe di facile produzione artigianale aggiungendo di averne prodotta, in anni precedenti, nei laboratori della scuola dove insegna, una incredibile quantità: “circa mezzo litro”, per contribuire a far fronte ad una “emergenza dell’ospedale civile di Udine”, che secondo lui la utilizzerebbe in cardiologia. Sosteneva inoltre di averla trasportata lui stesso a destinazione, attraversando la città, utilizzando dei secchi di ghiaccio per stabilizzarla. Una millanteria insostenibile che infatti non abbiamo pubblicato continuando a chiederci però che significato potesse avere, in un contesto tanto delicato, l’invenzione di una simile inutile vanteria.
Si tratterà anche di una semplice coincidenza ma, pochi giorni dopo, esattamente il 12 gennaio 2007, vengono depositati i risultati della 'superperizia' sulle forbici sequestrate all'ingegner Elvo Zornitta, nell' inchiesta su Unabomber.
In quel momento l’attenzione dei media nazionali è tutta concentrata sulle ormai famose “forbici” di marca “Valex”, sequestrate a Zornitta, che sono il cuore delle indagini sul misterioso bombarolo per il fatto che, sostengono gli inquirenti, sarebbero state utilizzate per sagomare un lamierino di ottone trovato in un ordigno recuperato inesploso. Le lame “Valex” avrebbero lasciato sul metallo una traccia indelebile e caratteristica, la prima ed unica prova concreta individuata in anni di indagini su Unabomber. Il deposito della perizia, ma la cosa si saprà solo alcuni giorni dopo, e' stato fatto, alle 15 circa del 12 gennaio, nella cancelleria del Gip di Trieste Enzo Truncellito cui, tramite il Pubblico Ministero Frezza, che si occupa del caso, il difensore di Zornitta, Avvocato Paniz, ha portato una sconvolgente notizia: le prove di una manomissione, di un depistaggio, ai danni del suo cliente proprio in relazione alle forbici e al famoso lamierino. Dal punto di vista della pubblicità delle notizie nessuno è però in quel momento a conoscenza della clamorosa svolta nel caso e viene solo comunicato tramite l’Ansa che in seguito al deposito “i contenuti e i risultati(della perizia nda) saranno esaminati in una camera di consiglio lunedi' 22 gennaio, a Trieste”.
Neppure la DDA di Venezia, che con quella di Trieste condivide le indagini, viene informata della presunta manomissione della prova. Ma pochi minuti dopo il lancio dell’Ansa, un ordigno esplode proprio nel bagno di un ospedale, a Schio, in provincia di Vicenza. Non può essere Unabomber, si dice: l’ordigno non assomiglia a quelli del bombarolo se non lontanamente e solo in due casi su trenta: nella chiesa di Piazza Vittoria a Cordenons del 25 dicembre 2002 e in Tribunale a Pordenone nel 2003. In più Schio è molto lontana dalle zone battute da Unabomber.
Nessuno nota però che a Schio ha sede la “Valex”, il distributore di utensili il cui marchio è impresso sulle lame delle forbici sequestrate a Zornitta, oggetto della perizia, strumento della manomissione, si saprà poi, e fulcro dell’intervista all’ex indagato telefonista da cui siamo partiti. Fin qui, per quanto curiosa, la faccenda potrebbe essere iscritta senza dubbio nel novero delle semplici coincidenze. Per di più l’ordigno esploso a Schio è “filosoficamente” diverso da tutti quelli esplosi sino a quel momento: non prevede infatti l’intervento della vittima per far scatenare l’esplosione. Una differenza che non si riscontra però in due casi: l’attentato nella chiesa di Cordenons che abbiamo già citato e l’esplosione nel bagno del tribunale di Pordenone adiacente all’aula Falcone e Borsellino.

Il nuovo bombarolo, a questo punto, scompare per due anni, fino al 15 gennaio 2009: il giorno prima della diffusione dei contenuti della richiesta di archiviazione per Zornitta sottoscritta dal PM Frezza in cui si sdogana l’esistenza di più Unabomber. Un ordigno identico a quello del 12 gennaio 2007 danneggia un’auto, pare scelta a caso, nel parcheggio sotterraneo di Schio che si trova sotto Piazza Falcone e Borsellino, in pieno centro storico. Insomma a volte il caso combina degli intrecci che neppure la fantasia del più disinvolto romanziere oserebbe immaginare.
Eppure va detto che Ezio Zernar, il poliziotto accusato di essere colui che ha manipolato con le forbici della “Valex” di Schio la prova contro Zornitta, è stato uno dei periti della strage in cui fu ucciso il giudice Borsellino. Eppure uno degli attentati di Unabomber è stato messo in atto, sotto il Ponte della Vittoria (lo stesso nome della piazza dell’attentato del natale 2002), nei pressi della Telcoma: la fabbrica del telecomando usato per la strage di Via D’Amelio. Eppure l’ex sospettato friulano di essere Unabomber ha rivendicato a nome della falange armata le stragi del 1993 utilizzando lo stesso codice di accesso introdotto per rivendicare, da parte di altri misteriosi telefonisti, proprio la strage di Via D’Amelio a Palermo. Rivendicazioni che, è accertato. erano preventivamente nella consapevolezza dei boss di Cosa Nostra. Eppure, ancora, l’altra “bomba anomala” esplosa in Tribunale a Pordenone è stata posta accanto all’aula Falcone e Borsellino. Eppure l’attentato del 15 gennaio 2009, l’ultimo, è stato messo in atto a Schio, dove c’è la Valex, nel parcheggio posto sotto Piazza Falcone e Borsellino e come il precedente, messo in atto due anni prima, ha scandito una svolta nelle indagini su Unabomber. Insomma se non siamo difronte ad uno “scherzo del destino” c’è davvero da pensare.